Dopo l’intervento si pone il problema di come prevenire l’insorgenza di una recidiva locale, vale a dire il ritorno della malattia nella mammella operata (se è stata conservata), o di un tumorecontrolaterale o di metastasi (soprattutto a ossa, fegato, polmoni e cervello).

Le terapie che mirano a ridurre il rischio di recidiva e di metastasi si definiscono ‘adiuvanti’ perché aiutano ad accrescere la probabilità di guarigione; includono sostanzialmente chemioterapia, ormonoterapia, terapie a bersaglio molecolare e radioterapia.

La scelta della terapia deve tenere conto delle caratteristiche cellulari e biologiche del tumore, dell’estensione della malattia, ma anche del desiderio e degli orientamenti della paziente, perché ogni donna ha una propria visione della vita.

Per i tumori ‘luminali’ (A e B in funzione della minore o maggiore aggressività), la terapia dopo l’intervento deve prevedere l’uso di farmaci che contrastino l’azione degli ormoni, generalmente in compresse da assumere giornalmente (ormonoterapia). Nel caso dei tumori luminali B, meno sensibili agli ormoni, alla terapia antiormonale si possono aggiungere dei cicli di chemioterapia nei primi mesi dopo l’intervento.

Per i tumori positivi al recettore HER2, la strategia terapeutica prevede la terapia a bersaglio molecolare a base dell’anticorpo monoclonale trastuzumab dapprima in associazione alla chemioterapia e, a seguire, da solo fino al completamento di un anno di trattamento in totale. Per i tumori positivi al recettore HER2 che esprimono anche i recettori per gli ormoni sessuali, la terapia prevede la chemioterapia, anche in associazione con la terapia a bersaglio molecolare, e la terapia ormonale da iniziare dopo la fine della chemioterapia.

Per i tumori triplo-negativi, che sono insensibili alla terapia ormonale e a quella a bersaglio molecolare, la strategia terapeutica prevede l’uso della chemioterapia.

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