Dossier - Trovarsi con il male addosso
Famiglia Oggi.
Associazioni di pazienti e familiari
Sogno di una navigazione...
L'associazione Vela è nata da un quadro raffigurante un mare in tempesta con la scritta, copiata da un vecchio corso tenutosi presso l'Istituto tumori di Milano, "Nella tempesta impariamo a navigare". Un piccolo quadro, 25x15, su una grande parete bianca di un Day hospital oncologico. Tra tutte le persone che entravano nella stanza, solo i pazienti e i loro familiari notavano la scritta. Da questa osservazione, dalla sensazione di angoscia e disagio dei malati che varcavano per la prima volta la soglia del Dh, dalla percezione del loro smarrimento e del senso di impotenza dei loro familiari, è cresciuto forte, passionale, coinvolgente, il desiderio di "fare" qualcosa, ma soprattutto di "diventare" qualcosa per "essere" accanto a loro e condividerne la sofferenza. Vela è nata così, da pazienti e loro familiari, nel 1998.
Il suo nome non è un acronimo, è il simbolo di una speranza. La sua storia è la storia di molte altre associazioni di volontariato in oncologia. Un cammino individuale, ma parallelo (Vela, c/o Dh oncologico, via Ruffini - 15075 Ovada - Al; tel. 0143. 82.64.15; 82.64.18; fax 0143. 82.64.14; e-mail: vela@associazionevela.it).
Vela ha un suo orgoglio personale: un consiglio direttivo (Anna Ravera, presidente; Paola Varese e Marco Musso, comitato tecnico) esclusivamente formato da pazienti e loro familiari (per lo più donne) che assumono decisioni e scelte in base alle necessità osservate e spesso vissute quotidianamente.
Una delle frasi che ricorrono è: «Solo chi ci è passato, può sapere veramente cosa significa trovarsi di fronte al cancro, nella propria vita». I "tecnici" sono di supporto, là dove è necessario e a richiesta. O su "mandato", come nella redazione del presente articolo in cui a un'oncologa del comitato tecnico, quale testimone nel tempo dell'evoluzione dell'associazione, è stato richiesto di vestire i panni del saggista. Ma se è possibile dire cosa si "fa" è molto più difficile "fotografare" affetti e emozioni, intrappolare in parole i sogni, "incorniciare" le speranze, agguantare umiltà e timidezza e dar loro visibilità.
I volontari si manifestano nella complicità del loro «sono qui per te», per condividere la sofferenza dei momenti critici ma anche per dar voce alla gioia in quelli positivi. Le "veliste" e i "velisti" non amano apparire. Come tutti i veri volontari, generosi, tenaci, concreti, ci sono. E basta.
Vela è nata come associazione di auto-mutuo-aiuto con supporto psicologico, ma, gradualmente, il suo impegno si è molto esteso: sono nate le iniziative di raccolta fondi per attrezzature, i corsi di formazione per personale sanitario e volontari, gli incontri informativi per la popolazione, la produzione di materiale divulgativo per i pazienti, lo sportello di aiuto, l'assistenza per le pratiche di invalidità, i trasporti per la radioterapia, la consegna dei farmaci a domicilio per le famiglie in difficoltà, le battaglie in sede istituzionale per difendere i servizi a favore dei pazienti e sostenerne l'accessibilità.
Quanti problemi, quante difficoltà! E quanti ostacoli da superare! In molte occasioni i volontari hanno dovuto affrontare l'umiliazione di non essere considerati. Ovada? Vela? Che cos'è? Chi vi raccomanda?
Poi, un giorno, s'è fatta largo la consapevolezza: i problemi di Vela erano gli stessi di tante altre associazioni, di tante altre persone. Perché non mettere in comune le esperienze per trarne un reciproco aiuto?
Perché non unire le forze per dimostrare che anche se non si è importanti, se non si è famosi, se non si è accreditati presso le alte sfere del potere si poteva realizzare qualcosa di significativo per i malati?
Le conferenze nazionali
Il 30 settembre 2000, a Ovada, la I Conferenza nazionale del volontariato in oncologia ha segnato l'inizio di una nuova epoca.
Una piccola associazione, di un piccolo centro di provincia, forse con un pizzico di follia, ha chiamato a raccolta il volontariato in oncologia, cercando di organizzare un indirizzario, di capire chi faceva che cosa, come e dove.
Quando Vela ha proposto l'iniziativa quasi nessuno l'ha presa sul serio. Le regioni fornivano dati incerti sul volontariato, alcune sembravano addirittura ignorarne l'esistenza... eppure centinaia di persone, ogni giorno, portavano avanti un servizio a favore degli ammalati.
In modo forse naïf sono stati contattati tutti coloro di cui si era riusciti a recuperare gli indirizzi, trovando in genere interesse ed entusiasmo, qualche volta un po' di diffidenza ma sempre grande disponibilità all'incontro.
Le "veliste" e i "velisti" si sono riconosciuti in molte storie di mariti, di mogli, di malati, di amici, di genitori. Chi si dedica al volontariato in oncologia, in genere, lo fa innanzitutto per rispondere a un suo bisogno interiore, per trovare risposte a al vuoto esistenziale che a un certo punto ha incontrato.
Quando la malattia porta via "qualcosa" dalla nostra vita e dai nostri affetti, quando i percorsi sono difficili e gli ostacoli sembrano insormontabili, quando le strutture appaiono vacillanti e le risposte latitanti, in qualcuno scatta un impulso che porta a voler fare qualcosa per gli altri, per alleviare la sofferenza, per arginare l'indifferenza, per combattere la disorganizzazione, per dare un senso al dolore.
La maggior parte di coloro che hanno aderito alla I Conferenza è stata rappresentata da volontari che traevano da esperienze personali la motivazione della propria scelta di vita: persone che gratuitamente prestavano la propria opera, "rubando" alla propria quotidianità tempo e spazi da donare agli altri.
I volontari in oncologia sentivano la necessità di parlarsi, di crescere, al di là dei singoli protagonismi o individualismi, al di là della differenze geografiche e dell'estrazione culturale e esperienziale. Volevano poter dire la loro.
Fare chiarezza
Da subito è emersa forte e orgogliosa la necessità di distinguere agli occhi di tutti tra volontariato "in senso stretto" e mondo del no-profit che accoglie al suo interno "anche" dei volontari. Modalità di accesso ai finanziamenti, rapporti con il servizio sanitario nazionale, convenzioni, raccolta fondi, indipendenza totale da case farmaceutiche. Non tutto ciò che finisce sotto l'etichetta di volontariato e che si fregia della denominazione Onlus è costituito da veri volontari.
Nell'ambito della I Conferenza il dibattito a questo riguardo è stato molto acceso. E la necessità di cercare chiarezza a tutti i livelli è stata un elemento trainante.
Dopo due anni ancora un passo avanti: 12 ottobre 2002, una seconda Conferenza nazionale ha radunato oltre 250 associazioni da tutta Italia. Non più Vela da sola ma un comitato organizzatore che raggruppava Angolo (Associazione nazionale guariti o lungosopravviventi oncologici), Amso (Associazione per l'assistenza morale e sociale negli istituti oncologici) di Roma, Condividere di Genova, Lega tumori di La Spezia, Ugi (Unione genitori italiani), Vidas.
La II Conferenza ha segnato un passo verso la maturità. Il volontariato sentiva la necessità di organizzarsi, di condividere conoscenze e problematiche, di acquisire competenze, si cominciava a parlare di "rete".
E, ancora una volta, il richiamo alla necessità di una totale indipendenza. Un primo forte segnale è stato rappresentato dai relatori-volontari e dall'esclusione totale delle case farmaceutiche tra i finanziatori delle conferenze. L'intera organizzazione è stata portata avanti esclusivamente da volontari, in semplicità e sobrietà.
L'appuntamento è divenuto biennale e il prossimo 9 ottobre 2004, sempre a Ovada, è programmata la III Conferenza nazionale del volontariato che sta maturando in un contesto di fervide iniziative.
Censimento del volontariato
Dalla I e II Conferenza Vela aveva stabilito un forte legame e una solida collaborazione con molte associazioni. Aveva imparato a conoscere realtà commoventi e organizzate come l'Ugi, che raduna le associazioni di genitori di pazienti pediatrici in Italia, a apprezzare progetti come Condividere di Genova, a capire dall'interno le motivazioni di chi si dedicava prevalentemente all'assistenza ai malati in fase avanzata di malattia e forniva in prima persona anche prestazioni sanitarie.
Ma è con Angolo di Aviano e Aimac (Associazione italiana malati di cancro) di Roma che è nato un percorso ulteriore. Tre associazioni nate da malati, ex malati e loro familiari, tre associazioni che avevano preferito dedicarsi prevalentemente alle attività di supporto, all'autotutela, all'informazione.
Angolo (c/o Centro Istituto nazionale tumori, casella postale n. 105 - 33081 Aviano - Pn; telefono: 0434.65.93.94; fax: 0434.65.95.31; e-mail: info@angolo.org) è nata nel 1994 ad Aviano ed è stata la prima associazione italiana formata da ex pazienti oncologici. In pochi anni è cresciuta e sono state aperte varie sedi periferiche (Carpi, Padova, Comiso).
Aimac (piazza Barberini 47 - 00187 Roma; tel.06 42989570; ) è stata fondata a Roma nel 1997 da malati, medici, psicologi e esperti di comunicazione e, in breve tempo, si è accreditata anche a livello internazionale per la validità dei suoi strumenti informativi, disponibili sul sito www.aimac.it e costituiti da 26 libretti sui diversi tipi di neoplasie e sui loro trattamenti.
E Vela, di cui abbiamo già detto diffusamente in apertura.
Le tre associazioni nel 2003 hanno condiviso l'iniziativa di realizzare un censimento delle associazioni di volontariato in oncologia operanti in Italia. Dall'esperienza della I e II Conferenza nazionale, infatti, era emerso che i dati erano frammentari e che gli enti istituzionali, Regioni, Provincie, Asl e gli stessi ospedali non erano in grado di fornire informazioni sui servizi offerti dal volontariato a pazienti e familiari.
Le tre associazioni, pertanto, hanno messo in comune i rispettivi data base e, con la collaborazione dell'Istituto italiano di medicina sociale (Iims), hanno incrociato i dati con quelli provenienti da altre fonti informative (Fivol, Registri regionali del volontariato, Federazione cure palliative, Doc Italia, Banca dati del Centro di riferimento oncologico di Aviano, Osservatorio italiano cure palliative) allo scopo di individuare il numero reale delle associazioni che svolgono attività di supporto e informazione ai malati di cancro e di realizzare un indirizzario comune.
Nel periodo aprile-ottobre 2003 sono state censite oltre 600 associazioni in tutta Italia attraverso l'invio di un questionario che mirava a raccogliere informazioni in merito a: dati anagrafici e recapiti dell'associazione, tipologia di attività svolte e modalità organizzative, composizione dell'associazione (pazienti, ex pazienti e familiari o personale sanitario).
Alcuni eloquenti dati
Delle 656 associazioni cui è stato inviato il questionario, 508 sono risultate esistenti, mentre per le restanti 148, presenti negli elenchi nazionali e regionali, non è stato possibile verificarne l'esistenza e comunque la reperibilità. Altre associazioni sono risultate composte da una sola persona o qualche suo familiare e l'unico elemento recuperabile alla fine è stato un numero di conto corrente.
Di tutte le associazioni contattate, 278 hanno risposto al questionario conoscitivo. Oltre il 50% delle associazioni di volontariato a favore dei pazienti oncologici è risultato risiedere al Nord e la regione più rappresentata è stata la Lombardia.
È emerso, inoltre, che la maggior parte di esse è stata fondata nel decennio che va dal 1990 al 1999 (53%) e il 97% degli intervistati ha dichiarato che i propri aderenti prestano la propria opera gratuitamente e volontariamente.
I volontari non specializzati costituiscono la vera base operativa rappresentando il 75% del personale complessivo dell'associazione anche se la maggior parte di esse (55%) ha psicologi o altre figure sanitarie retribuite (che comunque non superano il 30% del personale operativo).
Il 53% del campione analizzato è risultato composto da piccole associazioni di assistenza, con meno di 50 soci, di cui il 30% svolge attività di volontario, che si occupano di supporto psicologico, assistenza domiciliare e ospedaliera, formazione dei volontari, produzione e divulgazione di materiale informativo. Dai dati raccolti, è emerso che il totale dei soci attivi nel settore dell'oncologia segnalati in Italia è pari a 23.142.
Per un paragone, alla Fivol (Fondazione italiana per il volontariato), risultano 300.000 circa volontari nell'intero settore sanitario in Italia.
Sicuramente i dati raccolti sono ancora parziali ma, a tutt'oggi, il lavoro svolto è il più attuale, capillare e omogeneo possibile.
L'indirizzario verrà completato in itinere, man mano che le associazioni non presenti ci faranno pervenire i loro dati. Fino a oggi soltanto enti di tipo paraistituzionali come la Lega tumori e per alcuni aspetti la Croce Rossa erano in grado di avere informazioni sul territorio, tramite la loro organizzazione in sezioni provinciali.
Aimac, Angolo e Vela, insieme all'Istituto italiano di medicina sociale, hanno pubblicato, in occasione della Conferenza nazionale per le associazioni di volontariato in oncologia tenutasi a Roma il 14 e 15 novembre 2003, una Guida delle associazioni di volontariato in oncologia, che è attualmente in fase di aggiornamento.
Nascita di Favo
Dalla I e II Conferenza è emerso un sogno comune: la concretizzazione di un volontariato forte e maturo, consapevole, che abbia la capacità di porsi come interlocutore istituzionale, libero e attento, a difesa dei diritti dei pazienti e di coloro che li aiutano.
E il sogno ha cominciato a definirsi. Il 15 novembre 2003, a Roma, 16 associazioni hanno sottoscritto la costituzione di Favo, la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (sede legale, c/o Istituto italiano di medicina sociale, via Mancini 28 - 00196 Roma; sede operativa: piazza Barberini 47 - 00187 Roma; telefono 06 42989576; e-mail: info@favo.it). Con le successive adesioni, Favo oggi raggruppa 44 associazioni, di cui alcune, come l'Andos (Associazione nazionale donne operate al seno), l'Aistom (Associazione italiana stomizzati) o l'Anvolt (Associazione nazionale volontari per la lotta contro i tumori), operano a livello nazionale attraverso diverse sedi.
La sua costituzione è stata preceduta da animate discussioni, paure, incertezze. C'era davvero bisogno di un coordinamento nazionale? Si trattava dell'ennesimo tentativo di strumentalizzazione del volontariato? Che rapporti doveva avere Favo con le altre associazioni nazionali, prime tra tutte la Lega tumori e la Federazione cure palliative, ma anche Europa donna e altri movimenti di opinione? La risposta è nata dalla tipologia stessa di coloro che vi hanno aderito.
Favo è nata per fornire sostegno a tutte le piccole associazioni di pazienti, ex pazienti, familiari, associazioni che fanno fatica ad accedere finanziamenti, che affrontano mille difficoltà di tipo organizzativo, che non riescono ad avere informazioni corrette e che non arrivano agli organi istituzionali ma che operano tuttavia capillarmente sul territorio, ne vengono plasmate e a loro volta vi incidono per rendere il percorso della malattia tumorale meno devastante.
Favo è nata dalla scommessa di lavorare in rete per essere più forti, mantenendo la propria individualità ma accantonando il proprio individualismo, facendo forza sulle proprie peculiarità ma ridistribuendole a servizio degli altri.
Favo ha costituito una sfida a superare pregiudizi, preconcetti e diffidenze per costruire un futuro di cooperazione e sviluppo comune.
È stato nominato un Comitato esecutivo provvisorio, coordinato da Francesco De Lorenzo, fondatore di Aimac ed ex malato che ha tratto dalla sua malattia lo spirito e il coraggio di mettersi in discussione, ridefinendo e ridisegnando l'intera sua vita.
Lo statuto approvato all'unanimità prevede che il direttivo sia costituito a maggioranza da pazienti, ex pazienti o familiari di primo grado e la "Promessa" del volontario di Favo (ndr., vedi box alla pagina precedente), elaborata il 15 novembre 2003 sancisce i principi etici ispiratori della Federazione.
La riabilitazione in oncologia
La Federazione sta muovendo i primi passi ma già sono stati affrontati alcuni temi e sono state definite delle priorità. Poiché Favo intende essere l'associazione delle associazioni a sostegno di pazienti e loro familiari, fin dalle prime riunioni è emerso che un argomento prioritario avrebbe dovuto essere quello della riabilitazione in oncologia.
La diagnosi di tumore, infatti, porta a uno scardinamento della vita del malato e dei familiari, con un coinvolgimento della sfera affettiva, fisica, psichica, sociale e spirituale.
La riabilitazione oncologica ha lo scopo di migliorare la qualità della vita del malato, aiutando lui e la sua famiglia a riprendere a vivere normalmente, con l'obiettivo di limitare al minimo la disabilità fisica, il deficit funzionale, cognitivo e psicologico, che spesso si manifesta a seguito del tumore o delle terapie.
Il recupero del ruolo precedente in famiglia e a livello sociale costituisce un elemento che contribuisce a contenere significativamente il livello di sofferenza del malato.
I malati di cancro, anche nella fase terminale, devono aver diritto a un trattamento riabilitativo ma questo diritto è molto spesso oggi negato.
Nella maggior parte delle realtà, infatti, la riabilitazione viene concessa solo se vi sono previsioni di recupero della funzione fisica lesa o dalla malattia o dai suoi trattamenti.
La battaglia che invece Favo vuole portare avanti riguarda il diritto alla riabilitazione come mezzo per raggiungere la libertà dalla sofferenza e come speranza di riappropriarsi, nonostante la malattia, di una vita il più possibile normale.
Favo ha pertanto elaborato un progetto che prevede: indagine conoscitiva sulle strutture riabilitative del territorio e della loro disponibilità con percorsi specifici per i malati; analisi della casistica epidemiologica delle principali neoplasie in rapporto alle possibilità riabilitative delle stesse.
In questo progetto verranno coinvolte le società scientifiche dei fisiatri e degli oncologi e "Alleanza contro il cancro" l'associazione di tutti gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) d'Italia, coordinata dal professor Cascinelli, direttore scientifico dell'Int di Milano, in modo da attivare sinergie e soluzioni condivise che facilitino la realizzazione a livello nazionale, in modo uniforme e di facile accesso, di percorsi riabilitativi destinati ai pazienti oncologici.
Le scelte legislative
Che le associazioni di pazienti e familiari di pazienti possano influenzare le scelte normative è ampiamente dimostrato dalle iniziative portate avanti all'estero da associazioni come l'Nbcc (National Breast Cancer Centre) americana e il Cancerbacup (British Association of Cancer United Patients and their Families and Friends) inglese o Europa donna, presente quest'ultima, in 32 Paesi europei.
In Italia un grande successo del volontariato in campo di politica legislativa è stato recentemente ottenuto dall'Aimac. Infatti grazie alla caparbietà e all'appassionato impegno della vicepresidente Elisabetta Iannelli, nel decreto attuativo della Legge Biagi di riforma del mercato del lavoro, è stata introdotta una norma che consente ai lavoratori affetti da patologie oncologiche di trasformare il loro rapporto di lavoro a tempo pieno in un lavoro a tempo parziale e successivamente di poter richiedere il ripristino del contratto nella forma originaria.
La norma è una grande conquista per i malati di cancro e le loro famiglie poiché tutela tutti coloro che possono e vogliono continuare a lavorare, nonostante le diminuite energie, anche durante le terapie oncologiche senza dover rinunciare del tutto al posto di lavoro.
Favo ha intenzione di proseguire in questo settore cercando di individuare e affrontare tutte le difficoltà di natura organizzativa, sanitaria, sociale, economica e psicologica che oggi ostacolano il percorso dei pazienti oncologici.
Il futuro per noi
La III Conferenza nazionale del volontariato in oncologia, ancora una volta promossa da Vela, il 9 ottobre 2004 a Ovada raccoglierà i frutti del primo anno di vita di Favo e il giorno precedente, l'8 ottobre, verrà eletto il primo Direttivo ufficiale della federazione.
Il giorno 10 ottobre, poi, a Genova, capitale europea della cultura per il 2004, tutto il volontariato in oncologia con pazienti, familiari e amici, si troverà per una marcia della solidarietà. Sono appuntamenti importanti per i quali molti volontari stanno alacremente già lavorando.
Saranno momenti di incontro che serviranno a tutti noi per acquisire maggiore consapevolezza e integrazione reciproca.
Monsignor Giovanni Nervo, presidente onorario della Fondazione Zancan di Padova (lo scorso dicembre l'Università di Padova, su proposta della facoltà di Scienze della formazione, gli ha conferito la laurea ad honorem in Scienze dell'educazione per il suo impegno nell'ambito educativo e delle politiche sociali) in un suo intervento ha ricordato che «il volontario non ha bisogno di cercare il consenso, ma ha la capacità e la responsabilità di orientarlo sui problemi dei più deboli; non ha bisogno di cercare il potere ma può e deve controllarlo dal basso a tutela dei più deboli».
La funzione che i volontari desiderano recuperare oggi è quella di advocacy, cioè di tutela della dignità e dei diritti dei soggetti più deboli, senza però rischiare che questa espressione diventi una frase di rito che nasconde un vuoto di contenuti e progettualità. Come è stato più volte ribadito nei nostri interventi nelle varie conferenze nazionali la vera sfida del volontariato in oncologia può essere riassunta in tre impegni: libertà, competenza e rete.
Tre forti impegni
Tali impegni assumono una valenza etica che esprimiamo come segue:
Libertà dal potere politico ed economico.
Competenza intesa non come competenza professionale, ma come capacità di ascoltare il territorio, le sue attese, i suoi bisogni, i diritti misconosciuti dei pazienti.
Rete, intesa come volontà di intrecciare legami a livelli sovra-locali e di identificare criteri operativi e obiettivi comuni. Lavorare in rete è un rischio ma anche un'opportunità, forse la più importante che il volontariato potrà giocarsi nel suo futuro.
Vela, dunque, scomparirà in Favo? Tutt'altro. La piccola Vela potrà diventare grande nella misura in cui saprà donare alla comunità del volontariato le proprie risorse e la propria passione, portando avanti la sua missione di insegnare a ognuno, nonostante tutto, a credere che, anche nella tempesta, si può imparare a navigare.
Paola Varese
Programma della prossima Conferenza
Il programma preliminare della III Conferenza nazionale del volontariato in oncologia, organizzata ad Ovada sabato 9 ottobre 2004 (ore 9.30-18.00) presso il Teatro comunale prevede quattro sessioni.
I sessione
LA RETE DEL VOLONTARIATO
Le associazioni di autotutela e la loro influenza nelle scelte legislative:
l'esperienza americana
l'esperienza europea
la federazione nazionale delle associazioni di volontariato in oncologia, primi passi
la federazione delle associazioni in cure palliative, esperienze a confronto
il volontariato come funzione di "advocacy": i diritti negati ai pazienti e alle loro famiglie.
II sessione
ASPETTI ORGANIZZATIVI
Novità legislative in termini di accesso a finanziamenti e modalità organizzative. Profit, no-profit e volontariato. Professioni sanitarie e volontariato.
III sessione
IL DOLORE TOTALE
Decodificare la richiesta di aiuto del bimbo. La presa in carico del paziente e della famiglia.
La riabilitazione come risposta alla sofferenza.
IV sessione
LA COMUNICAZIONE
Etica e comunicazione.
La comunicazione non verbale.
Volontariato e mass media.
Una "Promessa" in otto punti
La "Promessa" del volontario della Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo), è composta da otto salienti punti.
Io prometto di fare del mio meglio:
per migliorarmi nel mio essere persona, familiare, operatore, cittadino;
per mettere al servizio degli altri le mie capacità, le mie conoscenze, la mia sensibilità, il mio essere nel mondo;
per agire in modo etico e coerente;
per rispettare la diversità di opinioni e facilitare il dialogo;
per lavorare a favore degli obiettivi comuni e far crescere globalmente il gruppo, rifuggendo da ogni strumentalizzazione;
per dimenticare individualismi e protagonismi e passare dall'io al noi;
per ricordare che al centro di ogni nostra scelta, ogni nostra azione e pensiero rimangano il malato, la sua famiglia e chi ogni giorno con loro accetta la scommessa di lavorare per una "cura" migliore;
perché ogni nostra azione sia la testimonianza concreta di un autentico dono di noi stessi, nel rispetto di sé e nell'amore per l'altro.
(Redatto a Roma il 15 novembre 2003).
di Paola Varese