Studio Usa: un foglio di alluminio e un laser potrebbero rendere il trattamento meno costoso Un foglio di alluminio e un laser potrebbero bastare per una radioterapia di nuova concezione, più agile, economica e precisa. Prospettata da fisici statunitensi, tale soluzione appare attuabile in pochi anni, e le notevoli prospettive di contenimento dei costi lasciano prevedere una sua ampia diffusione, a beneficio delle persone che ricevono un trattamento radiante per tumore. Chi ha la necessità di ricorrere a radioterapia incontra oggi difficoltà di carattere logistico, in parte legate alla distribuzione disomogenea delle costose apparecchiature sul territorio nazionale e in parte alla domanda in continuo aumento. Nella sola regione Lombardia si contano circa 40 divisioni di radioterapia, 15 delle quali concentrate nel capoluogo e nei comuni limitrofi. Solo 2, di recentissima installazione, sono invece, per esempio, i centri di radioterapia in Calabria. Una simile disparità non fa che nuocere alle strutture che si fanno carico, o sovraccarico, delle domande inevase sia in termini di qualità della cura sia di usura del personale e delle strumentazioni. Una volta individuata una sede idonea, prima di trasferirsi sul luogo e di trovare una sistemazione per qualche settimana, gli utenti devono fare i propri conti con le liste d’attesa difficilmente adattabili anche alle situazioni di emergenza. Il tempo di attesa medio in Lombardia è teoricamente compreso tra i 20 e i 30 giorni, ma, fatalmente, nelle strutture pubbliche di riferimento le liste di attesa possono allungarsi fino a sfiorare i 90 giorni. Spesso poi, per esubero di prestazioni o per questioni interne a ogni ente, la visita specialistica che ammette alle liste di attesa viene eseguita anche 45 giorni dopo la richiesta clinica. La radioterapia è impiegata soprattutto in ambito oncologico, in particolare nella cura dei tumori encefalitici infantili e delle forme linfatiche ed ematologiche (ovvero linfomi e leucemie) del bambino e dell’adulto. Altre indicazioni elettive si pongono in generale per tumori a rapida proliferazione, in particolare per i sarcomi dell’osso e delle parti molli, che sono più frequenti tra gli adolescenti e i giovani, per le neoplasie germinali, varianti del tumore del
testicolo e dell’
ovaio, e per carcinomi indifferenziati del distretto cervico-facciale. La radioterapia può essere necessaria in fase preoperatoria, per ridurre la massa tumorale, o durante l’intervento chirurgico, con l’obiettivo di “sterilizzare” il campo operatorio da eventuali micrometastasi invisibili a occhio nudo. Ancora, l’irradiazione può essere richiesta in fase
adiuvante, cioè a consolidamento di un trattamento chirurgico più o meno radicale, e in associazione o meno a chemioterapia. Un impiego non trascurabile è quello riparativo e antalgico, più spesso rivolto alla fase localmente avanzata o metastatica della malattia. In questo caso, le localizzazioni di malattia da irradiare possono essere scheletriche o viscerali. Secondo i casi, l’impossibilità di sottoporsi rapidamente alla radioterapia può avere conseguenze più o meno gravi: crescita della
neoplasia e incremento dei suoi effetti a distanza. Conseguenze che sono difficilmente quantificabili, ma in linea di massima proporzionali all’età del paziente e all’estensione della malattia. Alcune situazioni rappresentano vere emergenze, come per esempio il caso di una
metastasi ossea che può esporre il malato al rischio di frattura patologica se è localizzata allo scheletro assile, o al rischio di compressione del
midollo osseo e di paralisi se è a carico di una vertebra: in questi casi non è ammissibile un’attesa superiore a una settimana. La radioterapia si fonda sull’erogazione di energie capaci di agire a livello nucleare, dove alterano il genoma e provocano l’arresto del ciclo cellulare. Gli effetti avversi devono essere considerati nel computo dell’efficacia della radioterapia e del beneficio da essa apportato poiché i danni che a fini terapeutici vengono arrecati alle cellule neoplastiche possono riguardare anche le cellule normali dei tessuti e degli organi contigui alla zona irradiata. Il tempo di
latenza dell’espressione degli effetti curativi e nocivi è prolungato, e in media stimabile attorno ai 40 giorni, in ragione della lentezza con cui si esprimono le alterazioni genetiche. Nella maggior parte dei casi il trattamento prevede la somministrazione di una determinata dose nell’arco di pochi minuti al giorno, per più giorni consecutivi. Per rendere selettiva l’attività radiante si può fare ricorso a un frazionamento della dose erogata nell’arco della giornata, o all’impiego di sostanze radiosensibilizzanti. Sono anche allo studio radiazioni con attività biologica relativa e nuove fonti di energia radiante, tra cui i cosiddetti radioimmunoconiugati e alcuni mezzi di contrasto correntemente impiegati nella diagnostica per immagini. Ma cosa sono, specificamente, le energie coinvolte nella cura dei tumori? Si tratta di radiazione ionizzanti, cioè capaci di “strappare” un elettrone dall’orbita di un atomo e dar luogo alla liberazione di ioni. Questa è una situazione di elevata instabilità che porta alla rottura di legami chimici, ad alterazioni molecolari, biochimiche, biologiche e infine al blocco dei processi vitali della cellula. Elettroni e raggi gamma sono le fonti di energia prevalentemente usate in radioterapia. Essi vengono prodotti da acceleratori lineari, mentre ciclotroni di dimensioni gigantesche accelerano le particelle tramite enormi magneti e producono protoni. I costi iniziali e di manutenzione di queste apparecchiature sono formidabili: basti pensare che un ciclotrone si spendono circa venticinque miliardi di lire, e che la sua installazione prevede la disponibilità di spazi enormi. Ora il lavoro condotto da alcuni fisici dell’Università del Michigan diretti da Anatoly Maksimchuk, descritto sulle pagine del , lascia sperare che nel giro dei prossimi anni l’ospedale che voglia dotarsi di questo utile strumento non dovrà più affrontare un investimento di dimensioni così impegnative. L’équipe americana ha indirizzato un raggio laser della durata di 400 femtosecondi diretto contro un foglio di alluminio: i protoni liberati, circa dieci miliardi, sono dotati di un’energia (circa due MeV) inferiore di almeno due ordini di grandezza rispetto a quella necessaria ai fini terapeutici, ma secondo i ricercatori potrebbero bastare alcuni accorgimenti per aumentarla. Sostanzialmente si cercherà di impiegare un laser più efficiente per bombardare il foglio di alluminio, spesso solo 10
micron, cento volte al secondo. L’ingombro complessivo di un’apparecchiatura di questo tipo – incomparabilmente meno costosa di un ciclotrone – sarebbe semplicemente quello di un tavolo d’appoggio. Inoltre il laser sembra promettere un fascio più sottile, che consentirebbe maggiore precisione: lo scarto potrebbe essere ridotto da alcuni millimetri a pochi micron. Se le promesse saranno mantenute, questa tecnica potrebbe essere impiegata anche nel trattamento di neoplasie intracraniche o di metastasi cerebrali isolate, contro le quali è oggi molto difficile puntare selettivamente le radiazioni.