Mi chiamo Lucia e questa sono io, la ribelle, The Brave.
La montagna è sempre stata una delle mie passioni più grandi, e mi ha regalato grandi emozioni: Il Cervino, il Neval, il Mezzalama, che ho portato a termine per due volte.
Poi un giorno, quando sei arrivata a 48 anni senza aver mai preso un Moment, senti un uovo vicino al seno e scopri di avere un carcinoma infiltrante. In quel momento hai davanti due strade: il buio o la vita. Io scelgo la vita e con essa la montagna, che mi accompagnerà sempre, per tutto il periodo delle cure.
Vengo operata: quadrantectomia e linfonodi.
Durante le settimane di convalescenza faccio lunghe passeggiate nei dintorni. Riprendo il lavoro, torno sugli sci ed attendo la chiamata per iniziare la chemioterapia.
Il giorno prima della seduta prendo ferie e salgo da sola le piste di Artesina, ho bisogno di caricarmi. Il giorno dopo sono pronta.
KO per alcuni giorni e poi, poco per volta, le forze ritornano e io ci provo a tornare sugli sci, riuscissi anche a salire 300 metri. E invece ne faccio mille e questo mi dà forza.
I globuli bianchi dopo le chemio si azzerano ed io ho un obiettivo: non voglio saltare una seduta, voglio finire il prima possibile. Quindi stop ad abbracci e baci, stop ai locali affollati, lontano dai virus. Curo l’alimentazione, vedo poche persone e cerco di stare tanto all’aperto, favorita anche da un meteo eccezionale. Vado a fare le quattro chemio toste a piedi e le altre dodici in bicicletta.
Dopo le cure, appena mi riesce, cerco di fare e di vedere cose belle, che mi diano gioia.
Mi arriva una proposta inaspettata: andare in Maiella, la montagna madre che ho sempre sognato. Sì, vengo, non ho visite questa settimana. Camminerò soltanto, non scierò, ma sarà l’occasione di conoscere posti nuovi. Non so come, ancora adesso me lo chiedo, faccio quattro delle salite più belle della zona: la Rava della Giumenta Bianca, salgo sul Monte Amaro, sul Monte Camicia nel gruppo del Gran Sasso.
Al rientro facciamo tappa anche nel Conero, penso che questa occasione sia un compenso per ciò che sto passando e mi godo l’attimo.
A casa mi attende la terapia, ma poi, appena le forze ritornano, riparto, anche se ogni volta con un po’ più di fatica. Non sento i gusti, in bocca mi sembra di avere del metallo, ho le dite delle mani e dei piedi che formicolano, le unghie brutte, che copro con lo smalto, non ho più un pelo in tutto il corpo, ma a chi mi chiede come va rispondo sempre “bene” e sorrido.
Non rinuncio ad andare al mare con mia mamma come tutti gli anni e la mia corsa mattutina sul sentiero litoraneo si trasforma in una lenta passeggiata, ma che faccio ogni giorno.
Finisco le sedici chemio e, col benestare della cardiologa, posso ritornare in bici: il cuore ha retto bene.
Inizio le ventidue radioterapie e poi ne festeggio la fine chiedendo ad una cara amica di portarmi sul Pic d’Asti.
Arriva l’autunno, con i suoi colori, ma io aspetto la neve. Quando non posso prendere ferie in montagna ci vado la sera, dopo il lavoro.
I mesi passano, le cure proseguono e finalmente, ad aprile di un anno e mezzo dopo, ne vedo la fine. Ora devo solo prendere una pastiglia al giorno, come terapia ormonale per scongiurare eventuali recidive.
Sento di essermi lasciata tutto alle spalle.
Gli uccelli seguono rotte a noi invisibili, seguono la loro strada, fino al punto in cui si spegne, ma non si fermano mai a metà. Ci insegnano a proseguire nel viaggio, superando tutte le correnti che possono soffiare loro contro.