Chi sei? Parlaci un po’ di te
Ciao sono Beatrice, ho 34 anni. Sono grata alla vita per essere la mamma di Flavio di 5 anni, un dono nel dono, e sono orgogliosamente infermiera. Prima a Cesena, la mia seconda casa e poi in Abruzzo, dove abito, ad Alba Adriatica - Teramo.
Arriviamo alla comunicazione della diagnosi, come ti sei sentito in quel momento?
Ho ricevuto la diagnosi di carcinoma maligno infiltrante con metastasi mammarie il 16 maggio. Ricordo che la senologa mi chiamó nel suo studio con tono dolce e dispiaciuto, tanto da dover sdrammatizzare e alleggerire la situazione: ”Doc se mi chiama così, sono già morta prima del tempo!” Lei mi guardó e in silenzio si giró verso di me, il foglio poggiato sulla scrivania. Lessi per bene due volte. Mio marito a fianco con la gamba “ballava il Lalli-Galli” e aveva gli occhi pieni di lacrime. Lo guardai, pensai a Flavio e mi alzai in piedi di scatto, dicendo: ”Ok, cosa dobbiamo fare? Perché non ho intenzione di perdere tempo". La dottoressa rispose che forse la ragazza non aveva capito… invece la ragazza aveva capito benissimo. Pensai a mio figlio che all’epoca aveva 3 anni, al suo essere speciale e bisognoso della sua mamma, come ogni bambino, ma Flavio, con le sue difficoltà, un po’ di più.
Avevo salutato una settimana prima mia cugina. Dopo un anno intero di sofferenza, accompagnata fino all’ultimo respiro. Decise di diventare il mio angelo custode, lo stesso giorno della mia biopsia bilaterale (8 maggio). Direi che avevo capito, avevo capito il messaggio che la vita mi stava inviando e non volevo perdere tempo.
Chi ti è stato accanto?
Da sempre sono una persona selettiva. Il cancro mi ha fatto vedere meglio, dato conferme su alcuni e aperto gli occhi su altri. Ho visto chi voleva esserci, perché faceva figo stare vicino ad una malata di cancro con turbante in testa. E ho visto chi non mi ha lasciata sola mai, nel silenzio, dietro di me, a fianco a me, mettendomi al primo posto, ”perché dopo tutto quello che hai dato agli altri, è tempo che tu riceva". Ricordo la prima chemio con caschetto, la mia amica che mi pettinava i capelli bagnati delicatamente e me li asciugava con il Phon ad aria fredda, come da istruzioni delle colleghe del Dh oncologico. Ricordo un’altra amica, in turno in sala operatoria,che vedendomi dormire su quella poltrona del venerdì, mi lasciò un cerotto con su scritto “Non ti ho voluta svegliare, torno più tardi e andiamo a casa”. Il messaggio puntuale di mia sorella da Bologna. Luca, compagno di una vita, papà di Flavio, che mi ha aiutato e sostenuto ogni giorno. Vedendomi soffrire, cercando di aiutarmi, a volte anche rimanendo in disparte. Ma soprattutto mi ha aiutato a vedere sereno nostro figlio, mentre la sua mamma stava male, o aveva bisogno di riposare, o correva in bagno, o aveva voglia di urlare e invece sorrideva.
Sono stati 20 cicli di chemio, un anno e mezzo molto lungo. Difficile sotto tanti aspetti. Disturbi post traumatici da gestire, per diversi motivi. Da mia cugina Claudia, a me, alla visita d’invalidità di Flavio, lo stesso giorno della mia diagnosi... "Signora suo figlio è autistico, lo sa?!” Io, braccia conserte, senza il minimo segno di cedimento risposi “Sisi”. Ci siamo accorti di questa sua difficoltà ad 1 anno, e da lì non ci siamo mai arresi: Corsi, percorsi, esercizi, visite e metti miglioramenti. Oggi abbiamo una diagnosi diversa. Molto più lieve. Feci bene a rimanere con le braccia conserte quel 16 maggio. E fu merito del cancro che mi ha cambiata da dentro, e mi ha insegnato a guardarmi e soprattutto ad ascoltarmi. Ho soccorso gli altri per una vita, tanto da scegliere il lavoro da infermiera, è il momento che Beatrice soccorra Beatrice. E questo inevitabilmente comporta dei cambiamenti.
Tornando a chi mi è stato vicino, oggi posso dire di essere molto fortunata perché ho tante amiche diverse tra loro, accuratamente scelte e selezionate, che hanno fatto la differenza in questa nuova me. E come si dice? Scegli chi ha deciso di starti vicino quando stavi male, che a stare vicino quando stai bene, sono bravi tutti! Quindi grazie…Giada, Eugenia, Rosy, Giulia, tutte le mie amiche colleghe di Cesena, molte colleghe di Teramo, mia cognata Martina, mia sorella, mia suocera, la bisnonna, esempio di risata rumorosa in una vita di dolori, e a modo loro anche i miei genitori, sconvolti così tanto da non sapere che fare, ma nel tempo, a modo loro, hanno abbracciato il mio dolore e bisogno di amore. Grazie ad Ida, la mia psicologa, la mia guida, donna eccezionale. Senza di lei nulla sarebbe stato uguale.
Credi che il percorso che hai affrontato ti abbia resa una persona diversa?
Il cancro ti cambia. Fisicamente, psicologicamente. Esteriormente ma soprattutto interiormente. Ti tocca dei punti talmente intimi, talmente spaventosi, che solo un dolore così forte, una paura così enorme e una tale richiesta di forza dentro di te, può farti avere il coraggio di conoscerti e riconoscerti. Accettarti e amarti. Ecco allora che quando mi faccio la puntura ormonale, per la menopausa indotta, questa non ha più il tatto di “ti meriti questo dolore”, bensì una forma d’amore per te stessa: ” ti stai curando". Ecco che le chemio diventano le amiche del venerdì, la poltrona il tuo giorno di riposo, le colleghe del Dh oncologico diventano coccole dedicate a te stessa. E all’ultima chemio ti mancheranno, ti mancherà tutto questo. Tanto paradossale quanto vero.
Com'è avvenuto il tuo incontro con Aimac?
In uno dei miei venerdì di chemioterapia, leggevo un libro il cui titolo mi colpì, per i motivi di cui sopra: “C’è voluto un cancro”, di Alice Spiga. Divorato. Compagno di viaggio sempre con me. Di borsa in borsa. Fino ad avere l’opportunità di conoscerla e trascorrere un pomeriggio insieme a Bologna. È stata lei a parlarmi di Aimac. Grazie anche per questo Alis!
Chi sei oggi?
Oggi sono Beatrice consapevole di Beatrice. Sono una donna a cui è stata tolta una parte di sé, una donna un po’ rotta. Ma grazie a quella rottura è entrata una luce, che mi piace pensare abbia il nome di Claudia, e mi ha permesso di guardarmi dentro. In una nuova me. Più forte, più coraggiosa, più centrata su di sé.
Perché hai deciso di condividere la tua storia?
Condividere la propria storia non è mai facile. Ho deciso di farlo per essere di aiuto a chi legge, di speranza a chi inizia il mio stesso percorso, o un percorso di malattia e sofferenza, scegliendo di raccontarmi perché ho imparato, sia infermiera sia da paziente, l’importanza dell’empatia, della condivisione che conforta, che aiuta, che ci tiene unite. E unite tutto fa meno paura.
Il mio percorso inizió tornando negli stessi posti dello stesso ospedale dove lavoravo e dove avevo accompagnato fino a poche settimane prima mia cugina Claudia. Ricordo un quadro di girasoli che lei adorava, mi sembrava assurdo stare lì a fissarlo mentre aspettavo la mia prima chemio. Ora toccava a me. Beatrice in stanza 3. Entrai. Vidi una ragazza seduta con il caschetto, Federica, occhi grandi e sorriso dolcissimo. Una mano che indica la poltrona a fianco e un filo di voce “ non avere paura di farla, è dura ma si fa". Iniziai con il sorriso. Federica ha finito le chemio prima di me. E da quella volta promisi a me stessa di essere la Federica di qualcun altro. E penso di esserci riuscita. A volte lo sono stata anche per me stessa, lo sono ancora ad ogni controllo, ad ogni ago che sento pungermi. Ad ogni tac che devo ripetere.
Essere umani è la cosa più bella e difficile che ci possa essere. Ma se resti umano, la vita è più bella. Qualsiasi sia il tuo destino.
Grazie.